Ma siamo proprio tutti fratelli? – Marco 3:20-21, 31-35

Introduzione

Il brano di Marco rivela che i familiari di Gesù, in quel momento si confondevano con gli altri che lo seguivano, poiché vedendo tutto questo interesse per Gesù, lo vanno a cercare contrariati e infastiditi dalle sue intemperanze, dimostrando che non avevano compreso, né chi fosse e né quale fosse la missione che Gesù aveva ricevuto dal Padre. Infatti, lo cercano e lo vanno a prendere, perché pensano “che fosse fuori di sé” (v. 21).

L’indifferenza dimostrata per Gesù dalla maggior parte della folla, il rifiuto dei Giudei e l’incomprensione dei suoi stessi familiari rappresenta l’incomprensione e il rifiuto dell’intera umanità, poiché ogni uomo nella sua natura corrotta, non è in grado né di riconoscere Gesù, né di accettare e credere alla sua opera di salvezza.

In questa predicazione Gesù ci dice chi sono i suoi fratelli, e precisa che ① i suoi fratelli sono ubbidienti al Padre, ② sono in comunione con Lui e ③ lo seguono per vivere un discepolato maturo nella sua chiesa.

Iniziamo in primo luogo a chiarire, che coloro di cui parla qui Gesù sono  

 
  1. Fratelli che ubbidiscono al Padre.

Gesù afferma nel v. 35 che i suoi fratelli “sono coloro che fanno la volontà di Dio”.

Cosa vuol dire fare la volontà di Dio?

Innanzitutto, vuol dire ascoltare e mettere in pratica la sua parola, e costruire la propria vita sulle basi della sua parola e delle sue promesse (Matteo 7:24-25). In secondo luogo, per ascoltare e mettere in pratica la parola di Dio, è indispensabile accettare e credere a Colui che il Padre ha mandato: “Chi crede in me, crede non in me, ma in colui che mi ha mandato, e chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Giovanni 12:44-45). Fare la volontà di Dio vuol dire sentirsi totalmente perduti e bisognosi di essere ritrovati da Dio, sentirsi pienamente peccatori bisognosi di essere perdonati da Lui. Questa condizione è possibile solo per mezzo di Cristo, per la grazia del Padre e attraverso l’opera dello Spirito Santo. Essere fratelli è un privilegio di coloro che sono resi tali da Dio, perché hanno creduto al Figlio e per questo sono “nati da Dio” e non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo come ci dice Giovanni 1:12-13. 

Non come pensa papa Bergoglio che, nella sua Enciclica “Fratelli tutti” dichiara che si è figli di un dio sconosciuto e indefinito, e fratelli per il solo fatto di essere nati, quindi “nati da sangue, da carne, da volontà d’uomo”. Il pensiero di Bergoglio vuole abbattere i “muri” (per lui troppo ingombranti), per costruire i “ponti”, in nome di un “amore” ideologico e universale per l’uomo, anche andando a sacrificare la verità biblica e il rigore teologico che stanno alla base del vero amore e del benessere dell’uomo. Bergoglio, quando parla di Dio, ne parla in modo talmente generico e indefinibile, da poterlo fare accettare anche al religioso musulmano, induista e laico, per offrire un cristianesimo annacquato e falso, veloce e pronto all’uso. Avendo tolto la pietra “d’inciampo” che è Gesù Cristo, tutti possono riconoscersi in una non meglio precisata divinità astratta e svuotata di ogni contenuto, per sentirsi “fratelli” in una divinità costruita ad immagine e somiglianza dei propri scopi umanistici e politici, che però non risponde alle vere necessità dell’uomo, non onora Dio e confonde ulteriormente le coscienze sempre più disorientate degli uomini.

Questo è oggi il “mantra” che sta alla base del pensiero umanista, che mette in discussione le basi dottrinali della salvezza per grazia, e della vera fratellanza predicata da Gesù, fondata sulla sua persona e la sua opera, che è il primogenito di tanti altri fratelli, nati per mezzo dello Spirito Santo. Non sono i sacramenti a renderci fratelli, non sono le opere umane o i nostri meriti, nemmeno i tentativi maldestri delle encicliche papali, ma è la salvezza per grazia, attraverso la fede autentica in Cristo, dettata dalla Scrittura, come afferma lo stesso Gesù in Matteo 7:21 “Non chiunque mi dice: Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.

In secondo luogo, coloro di cui si parla qui sono

 

2. Fratelli in comunione con Cristo.

È Gesù stesso che guardando i suoi discepoli e i suoi familiari, sottolinea che la sua famiglia non sarà più composta da suo padre, sua madre, sua sorella e i suoi fratelli carnali, ma saranno tutti quelli che crederanno a Lui, lo seguiranno e vivranno in comunione con Lui. Qui Gesù ridefinisce la sua famiglia, facendo capire che non sarà più composta da quelli che hanno lo stesso suo DNA, ma sono quelli che hanno un nuovo DNA nello Spirito e fanno la volontà del Padre. Sono quei discepoli che gli stanno attorno e ubbidiscono a Lui, che lo seguono per formare la sua nuova comunità. Questa sarà la nuova famiglia di Gesù, la sua comunità che ha creduto in Lui, ha lasciato tutto e lo ha seguito per unirsi alla sua missione. I veri discepoli seguono Gesù e fanno di tutto per agevolarne l’azione, perché sono la sua vera e nuova famiglia, che si sente pienamente coinvolta nella sua missione, mentre i suoi familiari, anche se tentano di proteggerlo, rischiano di frenare Gesù dalla sua missione o di depistarlo verso una direzione contraria.

Non sono i sentimenti umani e gli affetti carnali a renderci fratelli e discepoli di Cristo, ma è la comunione operata dallo Spirito, sancita dall’opera redentiva di Cristo e che è frutto della volontà di Dio e della sua grazia. Papa Bergoglio con la sua Enciclica, dopo aver tolto la pietra angolare che è Gesù Cristo, ha modificato geneticamente il senso della fraternità biblicamente e teologicamente intesa, trasferendola alla comune umanità. Così facendo,  rappresenta la salvezza come un passaggio dalla porta larga, che è comoda e rassicurante per tutti, ma è una porta che conduce alla perdizione, quando in realtà la salvezza in Cristo è il passaggio attraverso la porta stretta che è più impegnativa, difficile da trovare e costosa da attraversare, ma porta alla vita. È una porta dove si entra uno alla volta, non secondo strategie e concezioni umane, ma secondo quelle di Dio e solo attraverso Gesù Cristo, colui che è la porta delle pecore, che permette a coloro che credono in Lui, di godere della sua comunione e del suo favore, poiché questa è la porta che conduce alla vita eterna (Matteo 7:13-14).

Ora, avendo stabilito che i fratelli di cui parla qui Gesù, sono quelli che ubbidiscono al Padre e sono in comunione con Lui, in terzo luogo evidenziamo che sono

 

3. Fratelli che vivono un discepolato maturo nella chiesa.

Coloro che sono passati per la porta stretta sono i veri discepoli di Gesù, coloro che Lui ha chiamato e che mettono tutto in secondo piano per seguirlo, poiché hanno creduto in Lui e si sono fidati di Lui, e ora si affidano alle sue cure e alla sua formazione.

Chi è il discepolo?

Il discepolo è colui che si adopera anima e corpo per il benessere e la crescita propria, ma anche per quella dei propri fratelli e per il progresso del vangelo e della propria chiesa. A questo scopo si forma in tutti i modi possibili, perché sa che dal proprio benessere dipende anche il benessere di tutta la chiesa. I discepoli sanno che prima di discepolare altri, devono essere discepolati loro stessi, avendo imparato le basi della fede cristiana, la visione del mondo fondata biblicamente, aver acquisito un senso “cattolico” (cioè, universale) della chiesa evangelica, aver radicato la fede nella memoria dell’eredità storica della fede evangelica, ricorrendo a tutto il patrimonio teologico e storico del passato.

La chiesa ha bisogno di uomini e donne che leggono, studiano, discutono e si sentono pienamente coinvolti e partecipi nel progresso della visione evangelica nel mondo e nella chiesa locale in cui vivono. Il discepolo ricorre alle fonti della parola di Dio: studia la Scrittura, prende coscienza della storia della chiesa e si fa conquistare dalla dottrina cristiana, poiché un discepolo senza lo studio è un bluff.

Il discepolo che conosce Dio non è semplicemente uno che ha delle informazioni su Dio, ma lo conosce perché è stato conosciuto da Dio, ha un’identità forte e radicata in Cristo, e si sente erede della storia della chiesa fedele all’evangelo, e si sente chiamato a proclamarla al mondo in cui Dio lo ha inserito. Se non sappiamo chi siamo, se non sappiamo qual è la nostra storia e il messaggio dell’evangelo che dobbiamo proclamare e come viverlo oggi, saremo travolti dalla melassa ecumenica del pensiero unico e dalla cultura infarcita dall’era del post-verità, post-confessionale e post-cristiano.  

  

Conclusione

Questa sfida è talmente impegnativa che non possiamo viverla come individui isolati, ma dobbiamo viverla nella chiesa e insieme alla chiesa, poiché nessuno crescerà da solo indipendentemente dalla chiesa! L’uomo solo al comando, il “self-made man” è in netta contrapposizione con la qualifica di discepolo, poiché o il discepolo è completamente coinvolto e partecipe alla vita della chiesa locale, o c’è da chiedersi se sia un vero discepolo. Preghiamo.     

 
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